Realtà virtuale e psicoterapia

un'applicazione che aumenta l’efficacia della terapia tradizionale

È scientificamente provato che la Realtà Virtuale aumenta l’efficacia della terapia tradizionale.

 

Parlando di cura e supporto psicologico, la realtà Virtuale trova uno spazio in quanto strumento efficace per il trattamento dei disturbi dell’ansia, trova spazio e campo nella Psicologia dello Sport e nella Riabilitazione Psichiatrica.
La letteratura ci spiega perché la Realtà Virtuale funziona in Psicologia.
Il concetto è facilmente intuibile, grazie ad un apposito visore, si dà la possibilità al paziente di immergersi in ambienti virtuali che simulano situazioni complesse della vita quotidiana, il tutto però nella sicurezza dello studio del terapeuta.

 

Lo studio diventa facilmente un parco, un ascensore, una metropolitana, un ospedale e molto altro.
In questi setting aumentati il paziente può sperimentare situazioni di vita complesse e affrontare accompagnato dal terapeuta le proprie difficoltà.
Una sorta di “teletrasporto”, la cui “magia” che l’alimenta si chiama “senso di presenza”: ovvero la capacità di illudere la mente di essere realmente li, nel luogo generato dal computer, e non nel luogo dove si è realmente (Riva, 2008).

 

Spesso in psicologia viene affrontato il tema che “il cervello non distingue fra ciò che è reale e ciò che è immaginato” basta pensare a quello che ci succede durante i sogni notturni.
Le sensazioni che proviamo sono completamente assimilabili alla realtà.
Non sarà difficile quindi credere (e chi lo ha provato può testimoniarlo) che la Realtà Virtuale induce reazioni comportamentali, cognitive ed emozionali del tutto simili alle situazioni reali equivalenti.
Questo è quello che succede con la Realtà Virtuale: nonostante la consapevolezza di essere nello studio del proprio terapeuta, un paziente con paura delle altezze che viene teletrasportato sul terrazzo di un’abitazione sperimenta una attivazione del SNC (Sistema nervoso Centrale) in tutto e per tutto similare a quella che avrebbe nella realtà reale.

 

È fantastico per quanto incredibile quello che si può creare.
La possibilità per il paziente di mettersi a confronto con oggetti e situazioni reali, ma nella sicurezza dello studio del terapeuta!
Grazie alla Realtà Virtuale, infatti, un paziente potrà confrontarsi con oggetti e situazioni reali, imparare dalle proprie azioni e dalle conseguenze delle stesse, sperimentare nuove strategie di adattamento e di gestione dei propri vissuti.
Il tutto con lo psicologo al suo fianco, che lo segue passo passo.

 

INFOPSICOLOGIA usa la Realtà Virtuale con le APP IDEGO. Ogni APP, ad uso esclusivo del terapeuta, tratta un disturbo.
Di seguito il nome dell’APP e il disturbo trattato.

– DOCURE (Disturbo Ossessivo Compulsivo),

– ZOOPHOBIA VR (Fobia di animali e insetti),

– DRIVER (Fobia di guidare),

– AVION (Fobia dell’aereo),

– AKRON (Fobia delle altezze),

– KLOVER (Claustrofobia),

– SKILLED VR (Abilità sociali, Competenze trasversali),

– CEREBRUM (Riabilitazione Psichiatrica)

Ogni disturbo segue un protocollo standard e standardizzato che comprende inoltre l’utilizzo del visore.

 

Fonte IDEGO

 

Evidenze scientifiche ventennali comprovano l’efficacia della Realtà Virtuale nell’ambito dei disturbi d’ansia (North et al., 2001), nel trattamento delle fobie specifiche (Garcia Palacios et al., 2002), dei PTSD (Powers e Emmelkamp, 2008), dei Disturbi Sessuali (Ticknor e Tillinghast, 2011), dei DCA (Vicentini, 2011), dei DOC (Cipresso et al., 2013), nei percorsi di riabilitazione psichiatrica (Smith et al., 2014), di Mindfulness e rilassamento (Navarro-Haro et al., 2017) e molto altro ancora.
La Realtà Virtuale consente di abbattere tempi e costi della terapia (Gujjar et al., 2019), aumentando inoltre l’engagement e la compliance del paziente (Valimaki et al., 2014). L’accettazione dello strumento ha livelli elevatissimi (Garcia-Palacios e Botella, 2007) e sembra indipendente dalle fasce d’età (Palmas et al., 2019).
Tra i dati di maggior interesse connessi all’uso della Realtà Virtuale vi è la riduzione del dropout, che in alcune patologie (quali il DOC) sfiora il 43% in meno di probabilità di dropout (Hezel e Simpson, 2019).

vuoi più informazioni? ti serve un aiuto? scrivimi!